Un giorno questo dolore ti sarà utile, Peter Cameron

ImageJames è un Holden riuscito dei giorni nostri.

Dopo qualche pagina, soprattutto dopo il primo dialogo di Un giorno questo dolore ti sarà utile (Adelphi, 10 €), l’accostamento è inevitabile. Quel che invece si può tranquillamente evitare è un confronto su chi dei due possa conquistarci in danno dell’altro, perché sono entrambi folgoranti.

Ho letto Holden a 15 anni. Prime vacanze al Liceo, in un sonnecchiante pomeriggio di luglio Baricco ne parlava a “il Circolo Pickwick”. Avevo preso nota su un foglietto e il giorno dopo mi sono fatta accompagnare da mia sorella in città col pullman per avere il mio Holden all’Einaudi. 25mila lire. Mi ricordo che mia madre un po’ mi sgridò, perché allora 25mila lire non erano poche e c’erano le biblioteche. A settembre, quando la prof. di Lettere ci chiese un elenco delle letture estive, io dissi, tra gli altri, “il giovane Holden”. Lei si illuminò e ne impose la lettura a tutta la classe. Poi addirittura come gran finale la traccia di un tema di un compito in classe. A quel punto, io scelsi un’altra traccia. Anche perché la prof. si aspettava da me proprio quello. E io non lo feci perché Holden era un po’ più mio degli altri. Poi non mi andava di raccontare alla prof., al mondo e a vattelapesca chi altro le emozioni che il libro mi aveva provocato, visto che quella poi leggeva in classe i temi migliori. Il mio lo lesse anche quella volta, ma parlava d’altro. Del piacere della lettura. Holden così è rimasto con me, senza finire sulla carta. E qualche volta vorrei sedermi anch’io sopra una bomba, se proprio lo volete sapere. Mi terrei stretta quel libro che ha fatto il giro di tutti gli amici e mi è tornato con la copertina talmente sgualcita che ho dovuto attaccarla con lo scotch.

James è arrivato invece nell’età forte. Si legge a fiume un sabato mattina. Il commento della Parrella sulla quarta di copertina coglie nel segno. Scrittura agevole, curata, dialoghi brillanti. La vicenda è inserita (unica pecca) in un contesto meno realistico di quello di Holden, forse un po’ artificioso e forzato (ma per averne conferma bisognerebbe far parte di qualche famiglia con genitori separati dell’upper class di New York, oggi), ma completo: genitori bizzarri e indaffarati, una sorella odiosa, John alla galleria d’arte e poi Nanette. Nanette è una figura che toglie il fiato e quasi commuove per la delicatezza e l’intelligenza che ha nel raccogliere i timori di James: non è solo una nonna, è piuttosto una donna che completa il cruciverba del New Yorker già la domenica mattina (la difficoltà aumenta da lunedì a domenica, e domenica è pressoché impossibile); che si veste con abiti stampati con grandi ortensie rosa e azzurre su un fondo giallino e un rossetto rosa che riprendeva il rosa del vestito; che scende le scale di lato, perché farlo di fronte sembra un gesto d’attacco, quasi una carica, per chi sta sotto ad aspettare; che beve whisky con ghiaccio per sfogare le ansie di James, e quelle del suo passato. E’ soprattutto una donna che capisce e perdona. E semplifica, con uno sguardo che è un anello dello sguardo sul mondo: Guardavo mia nonna dalla finestra e lei (forse) guardava i vicini attraverso una finestra, e forse loro guardavano nella casa di fronte o dentro una macchina parcheggiata, e così via fino a fare il giro del mondo.

Oggi Holden e James sono ai miei occhi due ragazzini. Ma quando ho letto Holden me ne sarei di sicuro innamorata, da adolescente secchiona e un po’ rissosa com’ero. James lo vedo oggi com’ero io nel 2003, anno di ambientazione del libro: io all’Università, a studiare procedura penale d’estate, lui che alla Brown non ci vuole proprio andare perché quelli della sua età non gli piacciono. Un filo autistico, o un po’ “disadattato” (come dicono i giornali quando scompare per scappare da … tutto), omosessuale non ancora sbocciato, intelligente e goffo nelle sfide intellettuali con tutti quelli che lo circondano (meno Nanette), qualche volta crudele, per lo scherzo a John, o tipo quando, da solo, prende in giro il cane Mirò, che non capisce, lo so, ma secondo me qualche perplessità ce l’ha. Va da una psicanalista, e ne prevede domande e risposte. Ed è sempre pronto a tirar su risse verbali, lo sa e quando lo sente lo anticipa, quasi a chieder scusa, perché non riesce a trattenersi.

Holden resterà quello che non sa dove vanno le anatre di Central Park quando i laghetti gelano, James quello che aspetta di leggere Proust: Mi hanno detto di non leggerlo se prima non mi sono innamorato e disamorato. Era stato John: avevo in mente di leggere Alla ricerca del tempo perduto, o à la Recherche du temps perdu, ma la prima volta che sono arrivato alla galleria con La strada di Swann lui me lo ha tolto di mano, dicendo che era un delitto leggere Proust alla mia età. Mi ha fatto promettere che non lo avrei letto finché non avessi trovato e poi perduto l’amore. Devo ammettere che era stato un sollievo, perché lo trovavo un po’ faticoso, ma ero arrivato solo a pagina trenta.

In fin dei conti, mi piacerebbe fare con entrambi una passeggiata ai laghetti di Central Park o portare Mirò a spasso per Chelsea. Ho la sensazione che se li mettessi uno di fronte all’altro ne verrebbe fuori un dialogo assurdamente logico e sottile, vagamente ironico, triste e lucido, stile Pat e Tiffany di “Silver Linings Playbook”: due disturbati che si dicono cose vere, che però si feriscono reciprocamente, e che per questo si pentono. Ma non riescono a farne a meno. Con Holden farei una partita a dama e andrei a cancellare tutte le scritte “ca…” sui muri del mondo, a James direi invece che sono d’accordo con lui sull’uso del congiuntivo e che a non farci caso si fa […] male al mondo. Sono piccole cose così, come usare la lingua in modo corretto, che lo fanno funzionare. Funzionare bene. Se ci lasciamo andare, sprofonda tutto nel caos. Gli errori come questi sono come piccole crepe nella diga, all’inizio pensi che non siano importanti, ma poi i propri errori e quelli degli altri si accumulano e allora sì che lo diventano.

Poi racconterei a entrambi della Recherche. Gli direi che anch’io l’ho comprata troppo presto, quando avevo 14 anni (al prezzo di 11mila lire il primo tomo di Swann, la metà di Holden, negli stessi anni), che di tanti tentativi falliti solo quello attuale ha superato le trenta pagine e sta veleggiando felicemente oltre; gli direi che è un libro splendido, una rara meraviglia che rapisce e rende in maniera magistrale gli scorci sulle persone, i loro vezzi, le loro personalità e fragilità. Però ha ragione John, che del resto è mio coetaneo: bisogna aver trovato e poi perduto l’amore, per capire. Prima è un delitto.